HOME PAGE
 
Sabato 5 Luglio 2003 THE ECONOMIST, editoriale Gianni Vattimo
TITOLO
Ma Paolo Guzzanti è ineffabile o semplicemente nefando? Che non ci siano parole adeguate per descrivere la sua cecità di fronte ai fatti si spiega solo con una volontà perversa di non vederli, cecità che supera persino quella dell’altro ineffabile-nefando Bondi.
 
La differenza tra i due epiteti è profonda: si tratta infatti di decidere se gli si riconosce la buona fede, sia pure oscurata da pregiudizi, oppure no.
 
Così, quando chiama «internazionale della calunnia» i, pochi, deputati italiani che si sono dati da fare per diffondere al Parlamento europeo il noto «libello» sul Cavaliere, lo avrà anche solo sfogliato? Se lo avesse fatto, si sarebbe reso conto che in esso non c’è nulla che possa definirsi calunnia: date, fatti, processi, sentenze, frasi di Bossi su Berlusconi, eccetera. Ricorreremo ai tribunali per dimostrare che di calunnie non si tratta? No di certo, non solo perché non abbiamo i miliardi del suo proprietario e datore di lavoro da spendere in avvocati, ma soprattutto perché, alla fine, ci troveremmo di fronte all’impossibilità di dimostrare alcunché di fronte a una corte, data l’improcessabilità del medesimo cavaliere.
 
Ancora una volta, si tratta per Guzzanti di produrre fumo e chiacchiere, per evitare che si capisca questo fatto elementare: la verità su Berlusconi non si può accertare con i mezzi usuali della giustizia civile e penale, perché quando c’è di mezzo lui questo è vietato. È vero che, nelle poche occasioni in cui i tribunali hanno potuto pronunciarsi, ci sono state sentenze di condanna di suoi stretti collaboratori (gli undici anni di Previti non sono uno scherzo) e archiviazioni per prescrizione, patteggiamento, eccetera.
 
Ma sul punto fondamentale, la questione se egli abbia o no corrotto magistrati per procurarsi vantaggi di qualche tipo (per esempio, il favore di Craxi che gli fruttò il dominio delle televisioni), non si può cercare la verità con i mezzi, limitati ma comuni a tutti, della giustizia ordinaria. Solo così si potrebbe stabilire se quelle che abbiamo fatto conoscere al parlamento europeo sono calunnie o no. E solo di questa impossibilità si lagnavano i cartelli dei deputati con su scritto «la legge è uguale per tutti»; anche l’intervento di Schulz che ha fatto perdere le staffe al cavaliere aveva solo il senso di ricordare che l’Europa aspetta ancora sempre di sapere se il presidente pro tempore del Consiglio europeo sia un corruttore di giudici o no.
 
Il resto sono chiacchiere servili, Guzzanti potrebbe risparmiarsele; lo abbiamo conosciuto in epoche migliori della sua vita, il suo gusto della polemica, che abbiamo sempre apprezzato (o forse era merito dei figli?), potrebbe ancora oggi aiutarlo a non rovinare del tutto la propria dignità umana e professionale.
 
Ma secondo lui siamo una «internazionale», scriviamo su giornali stranieri, facciamo circolare notizie, VERE, al parlamento di Strasburgo. Intanto, come scrive opportunamente Barbara Spinelli sulla Stampa, anche Guzzanti dovrebbe abituarsi a pensare (e farlo capire al padrone) che siamo ormai in Europa, e che non possiamo più baloccarci con le miserabili barzellette cavalieresche. E poi, soprattutto: dove possiamo diffondere le informazioni, VERE, su Berlusconi e la sua cricca? Una lettura istruttiva, una volta tanto, che consigliamo a Guzzanti è quella dell’articolo di Feltri su Libero del 6 luglio: la storia della defenestrazione di De Bortoli dal Corriere. Feltri scrive questa storia per dimostrare, bontà sua, che il responsabile di questa defenestrazione non è il cavaliere ma un suo ministro.
 
Ma la morale resta la stessa, anzi peggio: se anche solo un ministro del governo Berlusconi riesce a far fuori il direttore del più grande giornale italiano, chi potrà rimproverarci di ricorrere alla stampa straniera per dire la verità sul capo e i suoi imbrogli affaristico-giudiziari? Certo, non siamo ancora alle bastonate e all’olio di ricino; ma solo Guzzanti può non vedere la condizione miserabile in cui si trova la libertà di informazione nell’Italia berlusconiana. La mattinata del 2 luglio a Strasburgo, non che essere un disastro, è stata uno dei momenti alti della vita, spesso umbratile, delle istituzioni europee: una volta tanto abbiamo avuto l’impressione che l’Europa, forse, potrebbe salvarci dal declino della democrazia

 

 
Questo Sito e' ottimizzato per Internet Explorer 4.0 o superiore - Cexco 2000 ®