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Lunedì  4 Agosto 2003 ESPRESSO on-line Giampaolo PANSA
Quel povero Silvio al guinzaglio di Bossi

Berlusconi e il Senatur si assomigliano più di quanto sembri.
E il destino del primo dipende dal leader leghista

Mentre il pentolone del centro-destra bolliva sopra il fuoco acceso dal ministro leghista Roberto Castelli, il vice premier Gianfranco Fini si è lasciato andare a una previsione azzardata.

Proprio lui, di solito così cauto, ha detto: "Se la Lega decidesse di abbandonare la maggioranza, nessuno le correrebbe dietro per pregarla di tornare". Perché Fini avrebbe fatto meglio a tacere? Per una serie di ragioni che adesso elencherò. A cominciare da quella meno importante, anche se riguarda i numeri della Casa delle Libertà in Parlamento.

Alla Camera, una defezione dei leghisti non avrebbe nessun effetto, poiché Silvio Berlusconi conserverebbe comunque una maggioranza robusta. Al Senato, invece, il governo si troverebbe sul filo del rasoio. Niente di drammatico, s´intende. La falla eventuale potrebbe essere tamponata con facilità. Tuttavia il fastidio resterebbe. E sarebbe una magra consolazione il pensiero che, comunque, la Lega fuggitiva è in costante perdita di consenso elettorale. Per restare ai numeri, nel 1996 Umberto Bossi aveva portato a casa 3 milioni e 776 mila voti, pari al 10,1 per cento. Cinque anni dopo, nel 2001, si era già ristretto a 1 milione e 456 mila suffragi, pari al 3,9. Lasciando per strada più di due milioni di elettori.

Ma ci sono motivi ben più forti per rincorrere una Lega che abbia deciso di mollare Berlusconi, Fini e il resto della compagnia. Il primo è che "la Lega non è soltanto il collante elettorale della coalizione di centro-destra, ma ne è la ragione ideologica". Chi lo dice? Lo dice, anzi lo scrive su ´Libero´ di Vittorio Feltri (26 luglio) un deputato di Forza Italia, l´avvocato Carlo Taormina. So che Taormina non piace a molti. Però non gli si può negare un buon intuito politico. E allora ascoltiamolo.

Sbarazzarsi della Lega, scrive Taormina, produrrebbe nel centro-destra ben più di un "effetto domino" dalle conseguenze imprevedibili per Berlusconi & C. Infatti farebbe venir meno "l´elemento unificatore che cementa questa maggioranza, ossia la logica federalista da cui dipende il vero rinnovamento dello Stato e della politica". Dunque, con l´uscita della Lega "il crollo della maggioranza sarebbe senza ritorno, perché la gente vuole il federalismo". Vi sembra bizzarra l´opinione di Taormina? A me no. E neppure, immagino, a quei dirigenti dei Ds che da anni analizzano con serietà il leghismo visto nel contesto dell´Italia del nord. Penso, per esempio, a Iginio Ariemma e a Pierangelo Ferrari.

Non chiudiamo gli occhi davanti a una verità. Da Parma in su, anche tanti elettori dell´Ulivo vogliono il federalismo. Non quello da baraccone di Bossi, ma neppure quello tisicuzzo votato dal governo di centro-sinistra, un attimo prima del crollo. Andate in Veneto e interrogate politici, imprenditori e intellettuali ulivisti. Vi diranno tutti che, anche per contenere la Lega, bisogna dare un segnale fortissimo di federalismo. E vi sentirete chiedere: perché il Veneto non può diventare subito una regione a statuto speciale, come le due che lo circondano, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige? Questa è una realtà indiscutibile. E lo scrivo senza nessuna simpatia per Bossi, che mi ha pure trascinato in tribunale.

Il secondo motivo è che Bossi e Berlusconi si assomigliano, più di quanto il secondo voglia ammettere. Il profilo vero del Cavaliere lo conosciamo. È un lombardo di quelli convinti della propria superiorità etnica e che ripetono sempre "ghe pensi mi!", ci penso io, lasciate fare a me! Le sue pulsioni nascoste sono le stesse del Bossi. Anche lui ha Roma sulle scatole. Non arriva a urlare "Roma ladrona!" soltanto per ovvii motivi di convenienza. Del Mezzogiorno non potrebbe fregargliene di meno, e il ponte sullo Stretto è appena uno spot televisivo in onore di se stesso, il magnanimo Cavaliere nordista.

Come immaginare che questo Berlusconi non rincorra un Bossi che voglia lasciarlo solo? Anche perché, e siamo al terzo motivo, il Cavaliere teme una Lega ridiventata del tutto mina vagante. Non ha ancora smaltito lo choc del ribaltone 1994. E nelle sue notti insonni vede i manifesti e i cartelli di un tempo: Berlusconi mafioso, piduista, votato da Totò Riina. Sbaglia il mio amico Emilio Giannelli, grande vignettista: non è Berlusconi che tiene al guinzaglio Bossi, ma l´esatto contrario.

E per dirla tutta, se il ministro Castelli piange dopo la sua ritirata in Senato, Bossi se la ride. L´Umberto è un furbone spregiudicato. Mentre Silvio oggi annaspa in una bassa marea esistenziale. Leggete l´epitaffio scritto da Giuliano Ferrara sul ´Foglio´ di martedì 29 luglio: il Cav non è mai stato "così poco lucido", "lavora attivamente per far godere i suoi avversari", "lo fa peccando in atti e omissioni, in una corsa mai così veloce e solitaria contro il muro dell´incomprensione generale".

La sinistra dovrebbe studiarla con cura questa faccenda del guinzaglio di Bossi al collo del Berlusca. Ma la sinistra, forse, non studia più. Sapete qual è stato il libro più venduto nella mega-festa romana dell´Unità? ´Tutte le barzellette su Totti´, 150 copie ogni sera.


 

 
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