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Mercoledì 6 Agosto 2003 LA  STAMPA Gianni VATTIMO
Non piove, Bush ladro

E adesso, che cosa ci diranno coloro che, all'inizio di questa estate come delle precedenti, ci hanno invitato a non pretendere di fare troppo caso al caldo, scrivendone sui giornali come se fosse una novità rilevante, quando tutti sanno che d'estate è normale sudare e anche, un poco, lamentarsi? D'accordo, è solo l'estate più torrida degli ultimi duecento anni, e da allora il mondo a quanto pare si è ripreso senza sciogliersi ed evaporare. Solo che questa volta ci sono i livelli dell'ozono alle stelle, gli incendi che devastano l'Europa meridionale, l'esaurimento delle risorse, idriche e non, del pianeta…

In più, come regalo aggiuntivo dell'estate, l'irrigidimento delle misure di sicurezza internazionali che rallentano partenze e arrivi negli aeroporti, limitano le possibili mete del turismo, fanno incombere su di noi, molto più che nella calda estate di duecento anni fa (o giù di lì), una atmosfera di fine del mondo.

Ed è per mantenere, e anzi regalare anche ai popoli «sottosviluppati» del mondo, questo stile di vita e di consumo, che noi (loro?) occidentali ci siamo imbarcati nella guerra irachena, e forse ci imbarcheremo in altre, sempre per salvare le risorse energetiche che ci permettano di andare avanti con i nostri condizionatori, auto, aerei, fino a che con qualche marchingegno potremo trasferirci su un altro pianeta dove ricominciare il lavoro di civilizzazione-distruzione?

Sarà un riflesso di antiamericanismo viscerale quello che ci spinge a dare la colpa a Bush (non piove, governo ladro)? Lui che non ha voluto firmare il protocollo di Kyoto, che continua a puntare tutto (compresa la vita dei suoi marines) sul petrolio, e che in questo senso è (oggi, in virtù della sua carica e della sua politica), il massimo responsabile della conservazione distruttiva del nostro sistema? Non ci sentiamo di chiamare viscerale questo antiamericanismo, e neanche forse di avercela con Bush; è piuttosto una elementare esperienza esistenziale, quasi metafisica: siamo di fronte ai limiti del nostro modello di sviluppo, anche prendere atto che non siamo fatti per vivere in una Europa tropicalizzata e desertificata è un modo di esser messi di fronte alla nostra finitezza.

E' vero che fra qualche centinaio di anni i nostri posteri si saranno abituati, sapranno vivere come oggi gli abitanti della savana. Ma nel frattempo? E' una «ristrutturazione» di cui siamo disposti a sopportare i costi?

 

 


 

 
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