Dalla caduta del fascismo,
dalla nascita della Repubblica, la doppia verità fa parte integrante della
politica italiana: c´è una verità nostra nazionale su cui si discute in
Parlamento e sui media e c´è una verità atlantica fuori da ogni controllo.
Le nostre forze armate o anche
quelle di polizia risultano quasi sempre divise fra queste due giurisdizioni,
una pubblica l´altra coperta dal segreto. Una legata a interessi nostri,
l´altra agli interessi dell´impero.
Nel caso dell´aereo civile
abbattuto nel cielo di Ustica i nostri capi militari e l´informazione
governativa si sono messi subito, automaticamente, al servizio della verità
atlantica che consisteva nell´occultamento della verità.
Nessuno è mai riuscito a
spiegare agli italiani se questa doppia verità derivi da clausole segrete del
trattato di pace, o dalla convinzione dei nostri alti comandi che la fedeltà
alla Nato sia più importante che quella alla Repubblica, o anche
dall´abitudine della nostra classe dirigente a seguire il più forte e a
disinteressarsi delle faccende militari come di cose che non ci appartengono.
Chi ha tentato in questi ultimi
anni di capire che senso abbiano le nostre partecipazioni alle guerre
dell´impero si è trovato regolarmente di fronte una cortina di menzogne, di
mezze verità e di sostanziale disinformazia.
Delle guerre in Iraq e in
Afghanistan si è detta, come premessa, una menzogna complessiva: sono missioni
di pace. Trattasi, da qualsiasi parte la si guardi, di una affermazione priva di
senso che ci riporta al Tacito di ´Germania´ dove le tribù guerriere chiamano
pace il deserto e il silenzio della morte.
In Afghanistan come in Iraq i
nostri soldati ci sono per un´azione di guerra, invisa per diverse ragioni alle
popolazioni locali. Lo ammette Andrea Nativi uno dei nostri polemologi che sul
´Giornale´, organo del presidente del Consiglio, scrive: "Non si tratta
di svolgere una missione di pace nell´Afghanistan ma di ricercare ed eliminare
le cellule in attività dei talebani, disarmare milizie irregolari e banditi che
taglieggiano la popolazione".
Un ritorno ovvio all´´achtung
banditen´ dei nazisti che occupavano l´Italia, cioè alla negazione che gli
oppositori abbiano un movente politico. "L´area di responsabilità del
contingente italiano", dice Nativi, "è estesa per 1.500 chilometri
quadrati, e l´area di interesse arriva a 13 mila chilometri quadrati con
montagne oltre i 3 mila metri, poche vie rotabili e temperature che scendono ai
50 sotto lo zero".
Una operazione ad altissimo
rischio e a giustificazioni incomprensibili. Che ci fanno in Afghanistan dei
ragazzi italiani? Tengono in piedi un governo fantoccio che controlla a stento
la capitale? Partecipano a una strategia mondiale per il controllo americano
dell´Asia centrale, del petrolio del Caspio, dell´antica via della seta?
Ma no, sono più semplicemente
il prezzo preteso dal governo per la solita politica di banderuola al vento. Nel
disinteresse generale perché questi soldati non sono un esercito di leva, ma
dei volontari, cioè esercito di mestiere che essendo ben pagato deve obbedire e
basta. Nel silenzio della informazione che salvo qualche commento retorico
ignora i rischi e gli aggiustamenti inconfessabili di queste missioni.
In questa doppiezza, in questa
inconfessabilità dei moventi reali, ogni dichiarazione rischia l´assurdo o il
ridicolo. Ai bersaglieri spediti a Nassyria si fa dire che sono lì per ridare
al popolo iracheno pace e benessere. Ma se ogni giorno il popolo di Nassyria si
raduna in piazza per protestare contro una occupazione che sta rivelandosi come
uno degli errori più gravi e incomprensibili dell´arroganza occidentale. |