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Sabato 16 agosto 2003 ESPRESSO on-line Giorgio BOCCA

Ma che ci fanno i nostri a Kabul e Baghdad?
Si perpetua nella politica italiana una doppia verità:
una interna e una atlantica. Al servizio dell´impero

Dalla caduta del fascismo, dalla nascita della Repubblica, la doppia verità fa parte integrante della politica italiana: c´è una verità nostra nazionale su cui si discute in Parlamento e sui media e c´è una verità atlantica fuori da ogni controllo.

Le nostre forze armate o anche quelle di polizia risultano quasi sempre divise fra queste due giurisdizioni, una pubblica l´altra coperta dal segreto. Una legata a interessi nostri, l´altra agli interessi dell´impero.

Nel caso dell´aereo civile abbattuto nel cielo di Ustica i nostri capi militari e l´informazione governativa si sono messi subito, automaticamente, al servizio della verità atlantica che consisteva nell´occultamento della verità.

Nessuno è mai riuscito a spiegare agli italiani se questa doppia verità derivi da clausole segrete del trattato di pace, o dalla convinzione dei nostri alti comandi che la fedeltà alla Nato sia più importante che quella alla Repubblica, o anche dall´abitudine della nostra classe dirigente a seguire il più forte e a disinteressarsi delle faccende militari come di cose che non ci appartengono.

Chi ha tentato in questi ultimi anni di capire che senso abbiano le nostre partecipazioni alle guerre dell´impero si è trovato regolarmente di fronte una cortina di menzogne, di mezze verità e di sostanziale disinformazia.

Delle guerre in Iraq e in Afghanistan si è detta, come premessa, una menzogna complessiva: sono missioni di pace. Trattasi, da qualsiasi parte la si guardi, di una affermazione priva di senso che ci riporta al Tacito di ´Germania´ dove le tribù guerriere chiamano pace il deserto e il silenzio della morte.

In Afghanistan come in Iraq i nostri soldati ci sono per un´azione di guerra, invisa per diverse ragioni alle popolazioni locali. Lo ammette Andrea Nativi uno dei nostri polemologi che sul ´Giornale´, organo del presidente del Consiglio, scrive: "Non si tratta di svolgere una missione di pace nell´Afghanistan ma di ricercare ed eliminare le cellule in attività dei talebani, disarmare milizie irregolari e banditi che taglieggiano la popolazione".

Un ritorno ovvio all´´achtung banditen´ dei nazisti che occupavano l´Italia, cioè alla negazione che gli oppositori abbiano un movente politico. "L´area di responsabilità del contingente italiano", dice Nativi, "è estesa per 1.500 chilometri quadrati, e l´area di interesse arriva a 13 mila chilometri quadrati con montagne oltre i 3 mila metri, poche vie rotabili e temperature che scendono ai 50 sotto lo zero".

Una operazione ad altissimo rischio e a giustificazioni incomprensibili. Che ci fanno in Afghanistan dei ragazzi italiani? Tengono in piedi un governo fantoccio che controlla a stento la capitale? Partecipano a una strategia mondiale per il controllo americano dell´Asia centrale, del petrolio del Caspio, dell´antica via della seta?

Ma no, sono più semplicemente il prezzo preteso dal governo per la solita politica di banderuola al vento. Nel disinteresse generale perché questi soldati non sono un esercito di leva, ma dei volontari, cioè esercito di mestiere che essendo ben pagato deve obbedire e basta. Nel silenzio della informazione che salvo qualche commento retorico ignora i rischi e gli aggiustamenti inconfessabili di queste missioni.

In questa doppiezza, in questa inconfessabilità dei moventi reali, ogni dichiarazione rischia l´assurdo o il ridicolo. Ai bersaglieri spediti a Nassyria si fa dire che sono lì per ridare al popolo iracheno pace e benessere. Ma se ogni giorno il popolo di Nassyria si raduna in piazza per protestare contro una occupazione che sta rivelandosi come uno degli errori più gravi e incomprensibili dell´arroganza occidentale.


 

 
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