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da REPUBBLICA 13 Gen 2001
L'AUTO-PREMIER
di CURZIO MALTESE

SENZA attendere le lungaggini democratiche, Silvio Berlusconi ha comunicato da Berlino agli italiani di aver già vinto non soltanto le elezioni della primavera prossima ma anche quelle del 2006 ("mi servono almeno due legislature per trasformare l'Italia") e si è incoronato da solo guida del paese per i prossimi dieci anni.
L'unico precedente storico, Napoleone, si era almeno limitato al gesto.
Ma il Cavaliere si è spinto oltre, scendendo con brianzola precisione nel dettaglio delle future azioni di governo.
Che iniziano dalla pioggia di trafori, autostrade e porti realizzati una sera da Bruno Vespa (e forse già visibili dai cittadini con un pizzico di immaginazione).
PER proseguire con l'imminente organizzazione del G8, previo accordo con Bush, con una serie di provvedimenti sulla scuola e perfino con la nomina del capo dell'opposizione.
L'ultimo atto, in verità, non gli spetterebbe da premier.
Ma Berlusconi è unto dal Signore. Dunque, il capo dell'opposizione di sua maestà Silvio sarà il dottor Massimo D'Alema. I congressisti dei Ds si regolino di conseguenza. Il compito e la linea di D'Alema, altrettanto precisi, saranno la trasformazione della Quercia in un partito "compiutamente socialdemocratico".
La nomina di D'Alema a capo dell'opposizione era più prevedibile della nomina di Bossi a vicepremier. D'Alema è il "comunista" preferito da Berlusconi dai tempi della Bicamerale.
La simpatia si è poi confermata man mano che il presidente dei Ds segava i rami dell'Ulivo, a cominciare da quello di Romano Prodi, ed è esplosa dopo il catastrofico risultato del centrosinistra alle regionali.
Per agevolare l'auspicato ritorno di D'Alema alla guida della sinistra, il Polo ha spianato a Veltroni la corsa alla poltrona di sindaco di Roma candidando Antonio Tajani, che avrebbe difficoltà a diventare sindaco di Arcore e sul quale evidentemente lo stesso Berlusconi non è disposto a scommettere una lira.
Il premier incaricato da sé medesimo si è poi dilungato con i giornalisti sui sistemi infallibili per dimezzare la disoccupazione e il greco nei licei e per azzerare la criminalità.
Nel congedare e nel congedarli ha poi riso sul fatto che al duello televisivo finale con Rutelli potrebbe inviare il suo portavoce Paolo Bonaiuti, in segno di ilare disprezzo per l'avversario e i milioni di italiani perdenti che lo voteranno.
 
Così ha parlato Berlusconi, all'alba di una nuova era, passeggiando per le vie di Berlino, fra i fantasmi di un comunismo e di un muro che lui sente d'aver sconfitto in prima persona (con Milano Due? Con i quiz?).
Qualcuno dell'Ulivo, di fronte alla berlusconeide di giornata, ha chiamato in causa il delirio di onnipotenza e altre categorie psicanalitiche.
Ma forse ha sbagliato a rispondere in questo modo all'apparente follia del Cavaliere.
Berlusconi ha ragione a dire d'aver già vinto le elezioni, secondo i sondaggi. Ma sa anche di poter perdere la campagna elettorale, che non è ancora cominciata e presenta una serie di insidie per il padre padrone della Casa delle libertà.
Soprattutto se l'Ulivo e il suo candidato Rutelli sapranno portare la discussione dal virtuale dei proclami e degli slogan alle cose concrete.
Berlusconi e il Polo hanno un programma reale che assomiglia al Paese della Cuccagna sbandierato nei compiacenti salotti televisivi quanto la faccia stessa del Cavaliere corrisponde all'immagine capelluta dei manifesti elettorali.
Ovvero, molto poco.
La destra ha un programma tardo-reganiano di smantellamento del welfare e delle protezioni sindacali, già in parte all'opera nelle regioni del Nord.
Un progetto che prevede la fine della scuola pubblica, altro che la riduzione del greco, e la distruzione del sistema sanitario nazionale, a favore del sistema assicurativo, dove per altro Berlusconi ha interessi personali.
L'Italia che hanno in mente Berlusconi e Bossi è un paese diviso dalla devolution, con un Sud sempre più impoverito rispetto al Nord. Ma sono cose difficili da dire, impopolari. Perciò Berlusconi preferisce fare il matto, per non andare alla guerra, a una vera campagna elettorale. Con le sue sparate, il Cavaliere allontana il momento della verità, punta a far sognare gli italiani fino a primavera, quando si prevedono bruschi risvegli.

 
 

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