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REPUBBLICA - 19 Gen 2001
Se l'Italia si avvia a un voto thailandese
di CLAUDIO RINALDI

DA sempre in Borsa è in vigore una ferrea legge non scritta: "Articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto". Ma la novità di questo 2001 è che l'area di applicazione della norma si allarga dall'economia alla politica.
Nei giorni scorsi le elezioni in Thailandia sono state vinte da Thaksin Shinawatra, miliardario nonché padrone della tv del paese, fondatore nel 1998 del Thai Rak Thai, un partito populista paragonabile a Forza Italia: i quattrini hanno permesso al Berlusconi thailandese, come lo definisce "La Stampa", di condurre una campagna spettacolare, inclusa la promessa di regalie a quei villaggi che avessero accordato al Thai Rak Thai la maggioranza assoluta. Adesso una soluzione di stampo asiatico rischia di riprodursi anche nel cuore dell'Europa.
Il Shinawatra italiano, cioè Silvio Berlusconi, è il grande favorito delle nostre elezioni di primavera. Il suo avversario, Francesco Rutelli, è in bolletta, e annota mestamente che "le elezioni si vincono anche con i soldi".
 
Berlusconi, d'altronde, è il primo ad ammettere che c'è un rapporto diretto fra la sua personale ricchezza e le sue fortune politiche, anzi se ne dichiara fiero: "Dicono che ho speso troppo", si vanta rievocando la nascita di Forza Italia, "il fatto è che 22 miliardi, per creare di tasca mia questo miracolo, non sono tanti" (Il Messaggero, 18 aprile 1996).
Qualcuno osserverà che nell'esibito orgoglio non c'è nulla di strano: in tutto il mondo il fattore soldi è decisivo, giacché la politica costa, e per farsi largo occorrono risorse cospicue. Ma un'anomalia italo-thailandese purtroppo c'è, e consiste nel fatto che in questi due paesi, ora inopinatamente simili, i candidati forti sono in grado di autofinanziarsi al 100 per cento.
In America, per le loro campagne George W. Bush e Al Gore hanno raccolto centinaia di milioni di dollari fra i loro sostenitori, imprese e privati cittadini, con ciò stesso alimentando un rapporto diretto e trasparente con settori importanti della società civile. Qui, invece, Berlusconi non deve bussare ad alcuna porta. Non deve nemmeno organizzare un migliaio di cene a pagamento, faticoso espediente di Rutelli.
 
Già a prima vista sono evidenti gli straordinari benefici che l'autarchia finanziaria assicura al Cavaliere. Grazie a essa, infatti, da un lato egli di fatto ostacola la raccolta fondi del suo avversario, dal momento che molte aziende giudicano inopportuno erogare contributi a uno solo dei candidati, e non potendo dare soldi a Berlusconi, che non ne chiede, non ne danno nemmeno al suo avversario che è sprovvisto di mezzi propri; dall'altro lato Berlusconi può allegramente eludere l'obbligo di misurarsi con gli interessi legittimi presenti nella società, che sono tanti e corposi, esponendo la vita pubblica al pericolo di un inusitato fai-da-te, di un singolare dispotismo del denaro autoprodotto.
Ma l'elenco completo dei vantaggi politici arrecati al capo di Forza Italia dal suo enorme patrimonio (la sola partecipazione in Mediaset, pur dopo i crolli in Borsa, vale quasi 15 mila miliardi) è più lungo.
 
1. Anzitutto, Berlusconi ha nei soldi un formidabile biglietto da visita. Essi sono la misura più certa della sua capacità di raggiungere il successo. Poco conta che mai in nessun angolo dell' Occidente un grande imprenditore abbia rivelato anche la stoffa dell'uomo di Stato: nell'epoca della politica iper-personalizzata, il popolo televisivo delle soap opera e dei talk-show addomesticati non è abituato a sottili distinzioni fra un mestiere e l'altro; pensa, a torto, che un asso del poker sia in grado di giocare bene anche a biliardo.
 
2. La ricchezza, sia detto per inciso, consente a Berlusconi di procurarsi facilmente la benevolenza delle persone che gli servono. Il possesso di imprese editoriali con centinaia di prodotti e decine di migliaia di dipendenti permette di attrarre nell'orbita della Casa delle libertà, in forme più o meno palesi, un numero potenzialmente illimitato di quegli abili organizzatori del consenso che sono gli intellettuali: in mano al moderno centauro, metà imprenditore e metà politico, Mediaset e Mondadori, "Giornale" e "Foglio" diventano altrettante armi improprie nella lotta per l'egemonia culturale.
Anche politici dell'Ulivo come Massimo D'Alema e Luciano Violante, del resto, hanno affidato a Mondadori i loro libri. E che cosa impedisce a Berlusconi, per esempio, di cercare intese sottobanco con i capi del gruppo Telecom, offrendo aiuti aziendali a Telemontecarlo in cambio di un atteggiamento amichevole di Tmc verso di lui?
 
3. I quattrini conferiscono a Berlusconi una forza d'urto propagandistica che nessun avversario potrà mai eguagliare. Basta dare un'occhiata alle cifre ufficiali: nella campagna per le elezioni europee del 1999 Forza Italia ha investito ben 27,5 miliardi di lire, contro i 7,4 di An, i 5,6 dei Democratici, i 5 dei Ds, i 2,5 della Lega Nord e del Ppi, i 2,2 del Ccd. Si obietterà che per le elezioni del Parlamento italiano la legge indica precisi limiti di spesa, oltre i quali i vari partiti e i singoli candidati non possono andare.
Vero. Ma l'unicità di Berlusconi risiede nella sua capacità di comprarsi vasti spazi pubblicitari tutto l'anno, anche al di fuori dei periodi di campagna vera e propria nei quali sono imposte restrizioni. Due anni fa il cavaliere inondò le proprie tv di spot in cui augurava buone feste agli elettori; l'estate successiva spedì sopra le spiagge squadriglie di aerei con gli striscioni di Forza Italia; nei mesi scorsi ha tappezzato i muri di tutta Italia con migliaia di suadenti manifesti...
 
4. Anche a prescindere dalla maggiore o minore correttezza dei singoli giornalisti a cui passa uno stipendio, Berlusconi può usare le sue tv per una sistematica opera di auto-promozione. I suoi mass media non pubblicano assolutamente nulla che dia fastidio al proprietario, mentre danno il massimo rilievo a qualsiasi notizia si presti a mettere il governo di centro-sinistra in cattiva luce: se si tratta di dimostrare che la gente ha ragione di sentirsi insicura, non c'è rapinatore nostrano o immigrato assassino che non conquisti i titoli di testa del Tg5.
Quanto alla visibilità accordata ai vari politici, gli ultimi dati li ha resi noti "L'Espresso": nel periodo 24 novembre-19 dicembre le reti Mediaset hanno concesso alle esternazioni di Berlusconi 39 minuti e 13 secondi, contro i 4 minuti e 34 secondi riservati a Rutelli. Da una parte un palcoscenico permanente, dall'altra l'oscuramento più spietato.
 
5. I soldi, infine, aiutano Berlusconi a reclutare alleati preziosi, o a tenerli aggiogati al proprio carro. E non è un'insinuazione, si badi, ma la pura e semplice verità. Il 15 aprile 1996, sei giorni prima delle elezioni politiche, il cavaliere stipulò con Marco Pannella un formale contratto in base al quale avrebbe corrisposto al leader radicale un rimborso spese di 1,2 miliardi, più un assegno annuale di 1,8 miliardi fino al termine della legislatura, se la lista Pannella non avesse raggiunto il quorum del 4 per cento dei voti.
Anche nel sorprendente riavvicinamento con Umberto Bossi i quattrini c' entrano, eccome: il 28 giugno 2000 il tesoriere di Forza Italia, Giovanni Dell'Elce, ha incaricato la Banca di Roma "di aprire in favore del Movimento politico Lega Nord, che assistiamo finanziariamente, un credito complessivo di lire 2 miliardi, validità sino a nostra revoca".
 
IL fattore soldi, insomma, crea fra i candidati alla guida del governo una disparità spaventosa, davanti alla quale non c'è legge sulla par condicio che tenga. Tutto lascia pensare che voteremo alla thailandese, anche se in teoria è sempre possibile che Davide batta Golia.
Certo sarebbe assurdo impedire ai super-ricchi in quanto tali di scendere nell'agone politico. Ma Rutelli dovrebbe ricordare ogni giorno agli italiani distratti che è sommamente imprudente, per una democrazia, affidare il potere politico a chi già dispone di un potere economico e di un potere culturale così straripanti.
L'Italia ha bisogno di molte cose, anche di una robusta destra di governo, ma non di un padrone assoluto che tutto può comprare.
Ci sarà pure un motivo se ai cittadini di Paperopoli, per quanto ammirino o invidino Paperon de' Paperoni, non è mai passato per la testa di eleggerlo sindaco.

 
 

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