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L'ESPRESSO - 6 Gen 2001
ARIA DI NUOVO: NANI E BALLERINE CON CONTORNO DI MARTIRI CRAXIANI

di GIORGIO BOCCA

Al congresso dei socialisti redivivi, sotto il tendone di Fiuggi, c'era di tutto un po', come accade in quasi tutti i raduni politici: la nomenklatura craxiana, ex ministri e sottosegretari, presidenti dell'ina o dell'inps per

dire di qualche carrozzone statale, i burocrati messi dal partito a dirigere reti televisive, teatri dell'Opera, enti di beneficenza, quelli che stavano sul palco dell'Ansaldo attorno a Bettino e quelli che andavano a raccogliere le tangenti anche per conto dei democristiani o a comperare le tessere fra gli inquilini delle case popolari. E anche gli altri, che avevano davvero creduto nella rinascita del partito come forza laica fra i due schieramenti clericali. Insomma una riunione di borghesi più o meno progressisti, più o meno con le mani pulite.

Ma improvvisamente, su quel campione del socialismo all'italiana, appena uscito dalla sconfitta e dall'oblio, ecco planare come l'onda lunga di un oceano, come un vento possente, le note dell'Internazionale, dell'inno che aveva annunciato un nuovo mondo, unito le speranze dell'u-manità sofferente e umile, fatto tremare i potenti e gli arroganti.

Ma si può? Com' è possibile che la nomenklatura di un partito borghese associato per anni al potere borghese o moderato o centrista, chiamatelo come volete, della Democrazia cristiana si alzi in piedi commossa all'inno della rivoluzione mondiale? Ma questo sembra essere il destino grottesco degli inni famosi del-l'umanità: il coro del Nabucco cantato con la mano sul petto dai padroncini della Lega, Bella Ciao e Bandiera rossa intonate al festival di Spoleto, la Marcia di Pancho Villa ai raduni di qualche partito sudamericano sempre rivoluzionario e internazionale anche se diretto dai latifondisti, Giovinezza al fritto misto dei raduni missini all'Eur.

C'è nel revival dei partiti italiani sconfitti o superati dalla storia una impudenza che striscia bassa, una provocazione forzata. Nelle manifestazioni del periodo fascista era d'obbligo celebrare i martiri della rivoluzione compresi gli squadristi più violenti, in quelle del craxismo non manca il ricordo, commosso e furente, dei martiri di Mani pulite, facendo di ogni erba un fascio. In un elenco apparso sul "Foglio" c'erano anche Raul Gardini, il multimiliardario che rifilò agli azionisti della Montedison le spese per la Coppa America e a quelli della Ferruzzi le centinaia di miliardi persi nelle sue speculazioni sul grano alla Borsa di Chicago, simpatico avventuriero e uomo coraggioso, ma tutto men che socialista; e Gabriele Cagliari il presidente dell'Eni che a spese dell'a-zienda intestava alla moglie una trentina di miliardi (dalla signora poi restituiti) e non si sa quanti ai conti protetti, si ignora se del partito o dei suoi dirigenti. E martiri anche quelli che si son tolti la vita perché non sopportavano la vergogna del processo e della galera. Un periodo «anomalo» come lo chiama Martelli, diciamo un periodo da segnare per sempre una persona normale, da farla stare lontana per sempre dalla politica.

Ma questa politica dev'essere davvero un'esperienza affascinante o una torta tentatrice, se anche quelli che ne sono stati bruciati la rincorrono come i moscerini una fiamma di candela. Eccoli di nuovo affannarsi nel mercato dei voti, eccoli rimangiarsi dichiarazioni solenni e impegni eterni. Il mangiafuoco Bossi, che prima fa il ribaltone a Berlusconi e lo gratifica di mafioso e poi va impapocchiando discorsi incomprensibili sulla «devolution», anche lui poeta dialettale che fa l'americano; e il Boselli che si unisce alla schiera dei politici ricattatori; e il Mastella e quel personaggio incredibile, ma da noi evidentemente possibile, che è Cossiga, dalla risata sardonica.

 
 

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