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REPUBBLICA - 17 Mar 2001
NESSUN MANDANTE PER "SATYRICON" -
di MICHELE SERRA

SUL putiferio scatenato da Daniele Luttazzi e Marco Travaglio ogni opinione è perfettamente lecita. Tranne una. Quella (riassunta con mirabile semplicioneria dal filosofo Buttiglione) secondo la quale il comico e il giornalista avrebbero agito sotto dettatura.
 
Questa lettura riflette con paurosa, avvilente precisione lo sguardo politico italiano.
 
Il nostro mondo politico è così abituato a mettere a fuoco solo e soltanto le convenienze di parrocchia e le tattiche di cordata, da non capacitarsi delle libere ragioni e/o dei liberi errori di persone che vivono e agiscono obbedendo a logiche, ispirazioni e impulsi diversi da quelli del potere, e addirittura da quelli di Buttiglione.
 
Perfino peggio della censura, la mentalità corrente con la quale il potere politico guarda ai media tende a intaccare alla radice la responsabilità individuale di ogni dire e di ogni fare, riconducendolo al minimo (davvero minimo) denominatore del favore e dello sgarro. Tutti amici o tutti nemici, come i bambini ai giardinetti.
 
A Luttazzi e Travaglio viene negata, in buona sostanza, la titolarità di quanto hanno detto. Vengono declassati ad agitprop di Rutelli (che difatti lo stesso Luttazzi, qualche puntata fa, ha definito un fesso), magari omettendo di ragionare sulla curiosa circostanza che Travaglio, cresciuto alla scuola di Montanelli, è un tipico destrorso con il pallino della legalità, "law and order", come dicevano una volta i tipici destrorsi.
 
E dire che proprio l'incautela cristallina di quei ventisette minuti di televisione era la prova lampante dell'impoliticità di quei due. Del loro sconsiderato anteporre le proprie opinioni ad ogni convenienza, proprio come accade nei più citati talkshow americani, nei quali gli uomini di potere vengono massacrati di battute e di domande perfide alle quali, per giunta, vanno a rispondere di persona, malvolentieri, come studenti costretti all'interrogazione. Però ci vanno, e non pensano di avere di fronte un mercenario del nemico, ma peggio, molto peggio, pensano di avere di fronte un sicario pagato dall'opinione pubblica. Tanto alle spalle, se non buone ragioni, hanno buoni avvocati.
 
La verità è che né la perigliosa psicopatia del comico Luttazzi né la serena ossessione inquisitoria di Travaglio sono rintracciabili nel programma del centrosinistra. Apprezzabili o spregevoli che siano, sono la diretta emanazione di pensieri e sentimenti rintracciabili in una cospicua fetta dell'opinione pubblica, che ha accolto la performance del comico e del giornalista con favore almeno pari alla giustificata iracondia che ha esulcerato gli italiani di opionione opposta.
 
Lo scandalo è stato ingigantito, e di molto, dall'assuefazione di noi tutti alla tivù salottiera e cicisbea sulla quale i politici possono contare, e nella quale i politici vanno spesso e volentieri a non rispondere a non domande.
 
Luttazzi e Travaglio meriterebbero una pira tutta per loro. Ma sarebbe, quella, una gloria troppo pericolosa agli occhi degli offesi. Gli offesi vogliono che si sappia, e si dica, che quei due sono semplici burattini di partito. E che chiunque si presenti in tivù con un cerino acceso, ora e sempre, vada sepolto sotto la stessa domanda liquidatoria: ma a te, chi è che ti ha mandato?
 
Magari c'è qualcuno che non lo manda nessuno. Qualcuno che si manda da sé solo. Ipotesi che, nel paese di Buttiglione, è semplicemente sbalorditiva.

 
 

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