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  LA STAMPA - 31 Mar 2001
FORMIGONI SUBITO A GIUDIZIO -

di PAOLO COLONNELLO

«Abuso d’ufficio a fini patrimoniali»
 
MILANO Abuso d’ufficio a fini patrimoniali. E’ questo il reato con il quale Roberto Formigoni, per la prima volta nella sua carriera politica, dovrà comparire a processo il 2 ottobre prossimo. Lo ha deciso il giudice delle indagini preliminari Claudio Castelli firmando ieri il decreto di giudizio immediato che i pm Fabio De Pasquale e Roberto Robledo avevano chiesto tre settimane fa al termine delle indagini sulla fondazione dell’Oltrepò Pavese Branca-Bussolera. Dunque anche per il gip le prove prodotte dall’accusa sono sufficienti per spedire il presidente della Lombardia alla sbarra senza ulteriori approfondimenti. Con lui dovranno comparire come imputati anche l’ex assessore e attuale vicepresidente del Parlamento Europeo, Francesco Fiori (Fi), il direttore della segreteria della giunta Maurizio Sala, il direttore generale del Pirellone Nicola Maria Senese e i due ex amministratori della Fondazione Bussolera, Carlo Sarchi e Fabio Pierotti Cei.
 
Secondo il decreto di rinvio a giudizio, gli imputati avrebbero «concorso a un piano criminoso consistente nel garantire l’ingiusto soddisfacimento a danno del patrimonio della Fondazione Bussolera Branca, di interessi patrimoniali dei consiglieri Pierotti Cei e Sarchi, quale contropartita dell’intromissione degli amministratori regionali nella gestione della Fondazione e del suo ingente patrimonio in forma del vincolo politico e personale gravante sul nuovo presidente Pierotti Cei e attraverso l’immissione nel consiglio direttivo di persone di fiducia di Formigoni e Fiori (il cognato Giulio Boscagli e l’ex portavoce di Berlusconi, Niccolò Querci, ndr)». In altre parole, il presidente Formigoni sarebbe intervenuto con mano pesante nei già fragili equilibri del consiglio d’amministrazione della Fondazione per favorire con «un ingiusto profitto» di 17 miliardi i due consiglieri Pierotti Cei e Sarchi, in cambio del piazzamento nella Fondazione di due suoi uomini, per il controllo dei 170 miliardi che l’ente dovrebbe distribuire per favorire ricerche in campo agricolo.
 
Sono sei le mosse attraverso le quali, secondo l’accusa, Formigoni e il suo entourage avrebbe raggiunto questo obiettivo: parte attraverso atti amministrativi e parte attraverso «contatti confidenziali» e «intese riservate», con i due consiglieri della fondazione che ricevettero in seguito i 17 miliardi: 10 a Pierrotti Cei, che li rivendicava come provvigione per una contestata vendita di azioni della Branca; 7 a Sarchi che invece li voleva considerandosi erede del defunto avvocato Bussolera Branca e per questo aveva impugnato il testamento. Vicende che fin dalla nascita della Fondazione avevano dato vita a tormentate battaglie giudiziarie vedendo schierati da una parte i due consiglieri «ribelli» e dall’altra l’ex presidente nonché esecutore testamentario, professor Ancelotti. Il quale però, dopo che la Regione decise d’intervenire, prima vide ritirare la delibera di decadenza per Sarchi votata dal consiglio della Fondazione, poi si trovò improvvisamente estromesso.
 
I magistrati accusano Formigoni, i due funzionari e l’ex assessore di aver tra l’altro disatteso i parere pro-veritate chiesti ai consulenti della Regione che pure avevano dato ragione all’impostazione del professor Lancelotti, come ad esempio l’istruttoria firmata dal direttore generale dell’Agricoltura Paolo Baccolo che aveva evidenziato il conflitto d’interessi di Pierotti Cei e di Sarchi e il carattere ingiustificato dell’estromissione di Lancelotti.

 
 

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