Messaggero del 17-05-2000

Mercoledi' 17 Maggio 2000

Il Bel Paese e' poco istruito/ Il ministro De Mauro: <<Troppi insuccessi e abbandoni, gli adulti riprendano a studiare >>

<<Ignoranti, tornate a scuola>>

Un'indagine Ocse boccia gli italiani: uno su tre non comprende frasi semplici

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Gli esperti lo chiamano analfabetismo funzionale o, piu' propriamente, "illetteratismo". E' il nuovo virus che colpisce l'Italia. Non ha nulla a che vedere con l'analfabetismo di chi negli Anni Cinquanta non era in grado di mettere una firma in calce ad un documento. Di fronte ad un testo elementare, per esempio le istruzioni per la somministrazione dell'aspirina, un terzo della popolazione, ovvero 13 milioni di italiani, e' in difficolta'.

Il fenomeno solo in parte e' retaggio del passato. <<Il disuso della lettura e della scrittura - sostiene Benedetto Vertecchi, pedagogista e direttore del Cede (Centro europeo dell'educazione) - provoca effetti micidiali. Questo non e' neppure analfabetismo di ritorno, e' illetteratismo di base, aggravato dall'assenza di lettura e scrittura: tre quarti degli italiani per il tipo di lavoro svolto non ha mai bisogno di leggere o scrivere... E certe forme di comunicazione sono scomparse>>. <<Gli adulti dovranno tornare a scuola, anche per brevi cicli di formazione>>, e' il rimedio proposto dal ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro, che da professore universitario ha studiato per decenni gli abbandoni e gli insuccessi scolastici.

Il quadro e' del tutto sconfortante. Un altro terzo della popolazione adulta (13 milioni di italiani, che sommati ai precedenti danno un totale di 26 milioni, con competenze al di sotto della soglia) non e' in grado di elaborare o ricevere un messaggio molto semplice: soggetto, verbo, predicato. Del tipo: <<Roma ha avuto sette re>>. Domanda: <<Quanti re ha avuto Roma?>>. Oppure, frasi minimamente piu' complesse: <<Con due banconote da mille lire si puo' comprare un gelato>>. Quesito: <<Alcuni bambini con due banconote da mille lire quanti gelati possono comprare?>>. E ancora: <<In un'assemblea Giovanna e' a favore dello sciopero, Andrea e' contro>>. Domanda: <<Che cosa pensa Giovanna?>>. Questo il tono dei quesiti di primo livello, non superati da migliaia di persone. Non parliamo di schede tecniche, grafici, orari ferroviari... restano un inesplicabile rebus.

I dati provengono da un'indagine internazionale condotta dall'Ocse, che in collaborazione con il Cede ha esaminato i livelli di competenza alfabetica della popolazione adulta, di eta' compresa fra i 16 e i 65 anni.

La parte italiana e' stata presentata ieri dal ministro De Mauro e dal pedagogista Vertecchi (i raffronti con gli altri paesi verranno resi noti a meta' giugno). Intanto, sentite che cos'altro emerge: il 65,5% degli adulti e' a rischio, con un 34,6% al limite dell'analfabetismo e un 30,9% con un patrimonio lessicale modestissimo. <<Per fortuna le nuove generazioni, pur dovendo affrontare un pesante ritardo culturale, hanno recuperato>>, osserva il ministro della Pubblica Istruzione, che ha anche fatto notare come la carriera scolastica dei ragazzi sia fortemente condizionata dall'ambiente familiare. In una famiglia, pur di reddito elevato, se non ci sono strumenti o mezzi culturali adeguati (libri, dischi, giornali ecc), la mancanza di stimoli si riflette negativamente.

I ricercatori dell'Ocse hanno fissato cinque livelli di comprensione: dal piu' basso (1) al piu' alto (5). I compiti richiesti erano: trovare l'informazione, integrarla e formulare risposte. Il livello uno, quello non superato da un terzo degli italiani adulti, prevedeva tra l'altro la lettura di un'etichetta di medicinale per stabilire per quanti giorni, al massimo, fosse possibile assumere il farmaco: l'etichetta aveva un solo riferimento al numero dei giorni, sotto la dicitura posologia. Ebbene, la parola posologia e' risultata incomprensibile. Forse vale la pena ricordare che ancora oggi il 32,3% degli italiani ha soltanto la licenza elementare o non ha neppure conseguito il titolo.

Repubblica del 17-05-2000

Mercoledi' 17 Maggio 2000

Il Bel Paese e' poco istruito/ Il ministro De Mauro: <<Troppi insuccessi e abbandoni, gli adulti riprendano a studiare >>

<<Ignoranti, tornate a scuola>>

Un'indagine Ocse boccia gli italiani: uno su tre non comprende frasi semplici

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Gli esperti lo chiamano analfabetismo funzionale o, piu' propriamente, "illetteratismo". E' il nuovo virus che colpisce l'Italia. Non ha nulla a che vedere con l'analfabetismo di chi negli Anni Cinquanta non era in grado di mettere una firma in calce ad un documento. Di fronte ad un testo elementare, per esempio le istruzioni per la somministrazione dell'aspirina, un terzo della popolazione, ovvero 13 milioni di italiani, e' in difficolta'.

Il fenomeno solo in parte e' retaggio del passato. <<Il disuso della lettura e della scrittura - sostiene Benedetto Vertecchi, pedagogista e direttore del Cede (Centro europeo dell'educazione) - provoca effetti micidiali. Questo non e' neppure analfabetismo di ritorno, e' illetteratismo di base, aggravato dall'assenza di lettura e scrittura: tre quarti degli italiani per il tipo di lavoro svolto non ha mai bisogno di leggere o scrivere... E certe forme di comunicazione sono scomparse>>. <<Gli adulti dovranno tornare a scuola, anche per brevi cicli di formazione>>, e' il rimedio proposto dal ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro, che da professore universitario ha studiato per decenni gli abbandoni e gli insuccessi scolastici.

Il quadro e' del tutto sconfortante. Un altro terzo della popolazione adulta (13 milioni di italiani, che sommati ai precedenti danno un totale di 26 milioni, con competenze al di sotto della soglia) non e' in grado di elaborare o ricevere un messaggio molto semplice: soggetto, verbo, predicato. Del tipo: <<Roma ha avuto sette re>>. Domanda: <<Quanti re ha avuto Roma?>>. Oppure, frasi minimamente piu' complesse: <<Con due banconote da mille lire si puo' comprare un gelato>>. Quesito: <<Alcuni bambini con due banconote da mille lire quanti gelati possono comprare?>>. E ancora: <<In un'assemblea Giovanna e' a favore dello sciopero, Andrea e' contro>>. Domanda: <<Che cosa pensa Giovanna?>>. Questo il tono dei quesiti di primo livello, non superati da migliaia di persone. Non parliamo di schede tecniche, grafici, orari ferroviari... restano un inesplicabile rebus.

I dati provengono da un'indagine internazionale condotta dall'Ocse, che in collaborazione con il Cede ha esaminato i livelli di competenza alfabetica ella popolazione adulta, di eta' compresa fra i 16 e i 65 anni. La parte italiana e' stata presentata ieri dal ministro De Mauro e dal pedagogista Vertecchi (i raffronti con gli altri paesi verranno resi noti a meta' giugno). Intanto, sentite che cos'altro emerge: il 65,5% degli adulti e' a rischio, con un 34,6% al limite dell'analfabetismo e un 30,9% con un patrimonio lessicale modestissimo. <<Per fortuna le nuove generazioni, pur dovendo affrontare un pesante ritardo culturale, hanno recuperato>>, osserva il ministro della Pubblica Istruzione, che ha anche fatto notare come la carriera scolastica dei ragazzi sia fortemente condizionata dall'ambiente familiare. In una famiglia, pur di reddito elevato, se non ci sono strumenti o mezzi culturali adeguati (libri, dischi, giornali ecc), la mancanza di stimoli si riflette negativamente.

I ricercatori dell'Ocse hanno fissato cinque livelli di comprensione: dal piu' basso (1) al piu' alto (5). I compiti richiesti erano: trovare l'informazione, integrarla e formulare risposte. Il livello uno, quello non superato da un terzo degli italiani adulti, prevedeva tra l'altro la lettura di un'etichetta di medicinale per stabilire per quanti giorni, al massimo, fosse possibile assumere il farmaco: l'etichetta aveva un solo riferimento al numero dei giorni, sotto la dicitura posologia. Ebbene, la parola posologia e' risultata incomprensibile. Forse vale la pena ricordare che ancora oggi il 32,3% degli italiani ha soltanto la licenza elementare o non ha neppure conseguito il titolo.

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Italiani, due su tre "faticano a leggere"

Allarme analfabetismo: sotto accusa anche i laureati

di MARIO REGGIO

ROMA - Due italiani su tre sono a rischio alfabetico, o illetterati, come li definiscono pedagogisti e linguisti. La maggioranza degli italiani tra i 16 e i 65 anni non e' in grado, o fa molta fatica, a comprendere, produrre, utilizzare informazioni contenute in testi scritti. Quindi a comunicare con altre persone. Un fenomeno che non risparmia i laureati: l'8 per cento di chi ha preso il fatidico pezzo di carta, oggi riesce a malapena a capire una semplice frase. Come se non bastasse ben due milioni di persone sono classificate come analfabeti totali. E' questo l'inquietante risultato del rapporto sulla "Competenza alfabetica in Italia" redatto dal Centro Europeo dell'Educazione e presentato ieri a Roma dal ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro.

Gli italiani leggono poco? Si comprano pochi libri? Le vendite dei quotidiani languono? Non c'e' di che meravigliarsi. La spiegazione e' nelle cifre rese pubbliche ieri. Due terzi della popolazione o non legge, oppure fa una fatica sovrumana per arrivare alla decima riga di un articolo o a passare alla seconda pagina di un romanzo. Molto piu' facile fare zapping

tra i programmi popolari trasmessi ogni sera sui canali televisivi. Li' si usano linguaggi semplici, frasi fatte e ripetitive, e l'immagine conta piu' di quello che si dice.

E se in milioni di case, accanto alla tv accesa, la libreria e' desolantemente vuota, se non si vede traccia di giornali, allora si capisce perche' una moltitudine di giovani, figli di persone che non hanno mai sfogliato un volume, non sono abituati al piacere della lettura e il loro rendimento scolastico non e' proprio soddisfacente. E la differenza tra le generazioni si sente: le percentuali piu' alte di semi-analfabeti si concentrano nelle fasce di eta' che vanno dai 45 ai 65 anni. Diverso il risultato per i giovani dai 16 ai 25 anni. Per i primi pesa la mancata scolarizzazione che dominava in Italia prima degli anni '60, quando finalmente parti' la media dell'obbligo.

"Un macigno che pesa ancora - commenta il ministro Tullio De Mauro - e che si riflette sul rendimento scolastico dei giovani che vengono dalle famiglie dove non si legge mai. La scuola italiana il suo miracolo l'ha prodotto. Se pensiamo che negli anni ' 50 il livello di analfabetismo toccava il 30 per cento, mentre oggi piu' del 90 per cento dei giovani passa dalla media inferiore a quella superiore, oltre il 70 supera l'esame di maturita'. Gli insegnanti e la scuola fanno il possibile, e a volte l'impossibile, ma non possiamo chiedere che i docenti si trasformino in eroi.

L'innalzamento del livello culturale delle persone che hanno superato i 45 anni e che non sono in grado di comunicare per iscritto con gli altri, e' un problema di tale portata che deve essere affrontato a livello nazionale, che oltre alla scuola deve coinvolgere la formazione continua degli adulti, quindi i ministeri del Lavoro e dei Beni Culturali".

L'analisi del professor Benedetto Vertecchi, coordinatore della ricerca e presidente del Cede, individua anche un aspetto positivo. "Un dato e' chiaro: la cultura media della popolazione e' cresciuta, grazie alle giovani generazioni. Pero' ci sono due aspetti preoccupanti: la composizione demografica della popolazione fa pesare lo svantaggio originario di una parte, quella piu' anziana che e' quella piu' consistente. Nel frattempo, seguendo un fenomeno registrato anche negli altri paesi industrializzati, diventa sempre piu' evidente l'allontamento della popolazione giovanile dalla comunicazione alfabetica".

Ma le preoccupazioni del professor Vertecchi non finiscno qui. "Il nostro sistema, a differenza di quello che si pensa, non produce e'lite culturali nella misura necessaria per governare i processi di modernizzazione. Il livello dovrebbe essere attorno al 15-20 per cento della popolazione, mentre noi siamo fermi all'8 per cento. Negli altri paesi, dove la piaga dell'illetteratismo esiste, anche se in misura minore, gli strati piu' alti della cultura vengono alimentati da strutture scolastiche e universitarie che puntano sulla qualita' che sulla quantita'. Dopo la scolarizzazione di massa - conclude - anche noi dovremmo essere piu' attenti alla qualita', senza dimenticare pero' che un numero elevato di cittadini semianalfabeti e' un pericolo per la democrazia e la liberta'".

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"I giovani? Capiscono solo spot e messaggini"

Marco Lodoli, scrittore e docente: "Si legge poco e si scrive in modo elementare"

ROMA (ma.re.) - Marco Lodoli, 43 anni, scrittore, insegna nell' Istituto professionale "Giovanni Falcone", nel quartiere di Torre Spaccata, alla periferia est della citta'. A casa di molti dei suoi studenti di libri non c'e' traccia. Qual e' il rapporto tra i giovani e la lettura?

"Loro sono in grado di comprendere i messaggi pubblicitari anche se hanno un linguaggio particolarmente complesso, le immagini rapide e caotiche. Loro si orizzontano a meraviglia. Ma a 18 anni ancora faticano moltissimo a leggere e comprendere la pagina di un libro. Leggono in maniera stentata e gli sfugge il risultato complessivo del discorso. In una classe di 25 studenti una buona meta', anche nella scuola superiore, legge come se tirasse le parole con i denti".

Tra di loro comunicano?

"Certo. C'e' una comunicazione scritta. Si scambiano messaggi con il telefonino, ma sono elementari, il linguaggio e' stereotipato, tanto per tenere aperto un canale: ci sei? dove stai? cosa fai?. Una specie di premessa a cui segue molto poco. E' triste vedere come ci siano tanti pensieri, esperienze, che faticano ad essere comunicati".

La scuola puo' fare qualcosa?

"Si apprende a scrivere e a leggere puntando sulla quantita', senza disdegnare i giornaletti. A scuola si fa poco, ogni anno al massimo quattro o cinque temi, con dieci pagine lo studente se la cava. Si pretende che il giovane si muova nella lettura strutturale del testo o della poesia, ma si fa leggere e scrivere molto poco".

Lei che fa in classe?

"Leggo, interpretandoli, numerosi racconti: Fenoglio, Salinger, Benni o Gogol. E loro mi seguono con attenzione e partecipazione. Ma se lo fanno loro perdono il gusto della lettura, tutto si opacizza. E in 20 anni questa

difficolta' e' aumentata".

Ci sono rimedi?

"Il problema non si risolve per legge o per decreto: la tendenza e' che i giovani si allontanano dalla parola scritta e sono attratti dall'immagine. Ogni insegnante deve allora difendere il valore della parola scritta. Per molti, troppi anni, si e' lavorato troppo sulle strutture della narrazione e della poesia, cioe' il lato piu' formale, dimenticando l'impatto immediato

della parola".

Qual e' lo stato d'animo degli studenti?

"Sono molto sfiduciati, vedono tutto molto difficile e complicato, temono una rete di parole sconosciute dove hanno paura di perdersi. Sono le parole della politica, della cultura, della scienza. Le uniche che sentono immediate e chiare sono quelle della pubblicita' che spinge al consumo, oppure il linguaggio sportivo".

Come vedono il loro futuro?

"Conosco quindicenni che gia' raccontano il loro futuro come fossero degli anziani: si vedono seduti al bar con una birra sul tavolino. La verita' e' che vogliono tirarsi fuori dalla mischia, vedono tutto complicato in questa rete della comunicazione, come l'uccelletto che rischia di cadere nella rete del cacciatore. Immaginano un futuro dominato da una complessita' esagerata, un po' perche' e' cosi', ma soprattutto perche' gli manca quel grimaldello linguistico che permette di semplificare le cose e distinguere il grano dall'olio. Vedono un mondo che rimbomba di parole e che fa paura. Si

tranquillizzano quando vedono lo spot di quell'aranciata che dice bevo e sono felice, e per loro sembra un paradiso. Il paradiso della chiarezza e della semplicita'".

Che ne pensano della competizione?

"L'altro giorno ho fatto un gioco in classe: scegliete tra tartarughe e colibri'. Hanno vinto le tartarughe, i lenti sono stati piu' numerosi dei veloci. Il mondo chiede: siate guizzanti e rapidi. La realta' umana, invece ha un passo piu' cauto. Per questo e' bello tornare alla letteratura, perche' si va alla profondita' delle cose. E le cose pretendono tempo. Ecco perche' occore rispettare il tempo interiore dei ragazzi e tornare alla lettura".