Stampa del 04-02-2001

Domenica 4 Febbraio 2001

Nessun accenno alla <<riabilitazione>> durante il colloquio con la figlia del leader Psi sulla Fondazione Stefania Craxi da Ciampi, affettuoso incontro Il Presidente ricorda il lavoro con il padre e la sua <<passione civile>>

Aldo Cazzullo

ROMA Non e' certo un caso che Carlo Azeglio Ciampi avesse dato appuntamento a Stefania Craxi per ieri mattina, poche ore dopo la cerimonia di San Macuto che ha riaccolto dentro le istituzioni il nome di Craxi e le sue carte, comprese quelle di Hammamet; che evocavano intrighi e anfratti, e ora saranno custodite nell'archivio della Camera. Venerdi' pomeriggio il Presidente della Repubblica non c'era. La figlia di Craxi teneva alla sua presenza, l'aveva anche detto a Luciano Violante, negli incontri in cui e' stata preparata la cerimonia. Ciampi non era pregiudizialmente ostile a intervenire. Ma altri impegni, e probabilmente l'eco delle polemiche che hanno accompagnato i riti di Hammamet e quelli congressuali del nuovo Psi, l'hanno indotto a non andare nel refettorio di San Macuto. Questo pero' non significava che il Capo dello Stato sottovalutasse l'opportunita' di pacificazione che quella cerimonia comportava. Anche per questo ha voluto ricevere subito dopo Stefania sul Colle. <<Mi ricordo del mio primo incontro con suo padre. Era l'83, lui aveva appena avuto l'incarico di formare il governo>>.

Per tre quarti d'ora Ciampi ha rievocato con la figlia di Craxi il lavoro comune. <<Gli suggerii di affrontare per prima cosa quella che allora era un'emergenza, l'inflazione a due cifre>>, ha ricordato il Capo dello Stato.

Tra le armi a disposizione in una battaglia che sara' poi vinta, l'allora Governatore della Banca d'Italia e il premier esaminarono anche quella della lira pesante. <<Potrebbe essere un'idea - disse Craxi -, a un patto: se faremo la moneta d'argento da cinque lire, voglio che rechi il volto di Giuseppe Garibaldi>>. Una proposta che piacque a Ciampi. Che con Stefania ha rievocato anche le scelte di politica estera del leader socialista, in difesa della sovranita' nazionale e dei movimenti antitotalitari che si battevano contro fascismo e comunismo, e ne ha riconosciuto <<la passione civile>>.

La figlia di Craxi gli ha spiegato gli obiettivi della Fondazione, che sta lavorando al riordino dell'archivio privato dell'ex premier e collaborera' con la Fondazione Turati e con gli intellettuali vicini ad Amato - Gennaro Acquaviva, Luciano Pellicani, Luciano Cafagna - nel preparare una serie di seminari sulla politica di Craxi. Di riabilitazioni, autocritiche, commissioni di inchiesta su Tangentopoli, Ciampi non ha parlato. Su Craxi, del resto, il Presidente ha sempre evitato di esprimersi pubblicamente. Quando fu operato all'ospedale militare di Tunisi per il tumore a un rene, Ciampi era in visita a Madrid da re Juan Carlos. Rispondendo alla domanda di un giornalista, formulo' gli auguri per il leader malato, che furono accolti dalla famiglia Craxi come un segnale di apertura. Quando Silvio Berlusconi chiese la grazia per Bettino, pero', dal Quirinale venne l'unica risposta possibile in termini di diritto: contro Craxi c'erano ancora procedimenti pendenti, e nessun provvedimento di clemenza era possibile. La signora Anna ha raccontato che il 31 dicembre del '99 il marito aveva atteso con ansia il messaggio di fine anno, nella speranza di un cenno alla sua persona o all'eventualita' di un'amnistia. Un dossier che non ha mai fatto parte dell'agenda del Presidente. Che con la famiglia Craxi, pero', non ha mai interrotto i rapporti. La signora Anna e la signora Franca si sono sentite al telefono, dopo l'elezione di Ciampi. E venerdi' prossimo, dopo Stefania,  al Quirinale salira' Bobo, nella nuova veste di presidente del Psi.

Repubblica del 04-02-2001

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QUANDO RITORNANO TUTTI INSIEME

di EUGENIO SCALFARI

CERTO faceva impressione ritrovarseli tutti insieme lo stesso giorno sulle prime pagine dei giornali e nei titoli di testa delle televisioni: Giulio Andreotti che presiede al varo d'un nuovo partito (cattolico?), gli eredi di Bettino Craxi in una cerimonia di memoria (pacificazione, riabilitazione, ri-vendicazione?), gli eredi dell'ultimo re d'Italia al funerale dell'ultima regina (propiziatorio di un eventuale rientro in patria?). Sara' un caso, una circostanza fortuita, ma a volte il caso contiene un avvertimento, esprime un significato e puo' segnalare un destino.

Andreotti, Craxi, Vittorio Emanuele e soprattutto i loro seguiti, comprimari, comparse, interlocutori, non c'e' dubbio, facevano impressione, soprattutto le facce lavorate dal bulino del tempo: all'Hotel Nazionale, nell'aula di Palazzo San Macuto, nella chiesa di Hautecombe, sembrava di rivivere il proustiano "matine'" dei Guermantes del "Tempo ritrovato". O una sequenza da macchina del tempo che ci portava a ritroso in anni lontani, parole gia' mille volte udite, fogge antiche. Oppure corsi e ricorsi? Un futuro popolato di "revenants"?

Tutti hanno diritto di ripresentarsi o d'essere ripresentati all'attenzione pubblica ma la domanda vera e' perche' adesso e perche' tutti insieme? Sono simboli? Sono fantasmi? Sono realta' con le quali bisogna ancora fare i conti? Qualche errore deve esser stato commesso  che spieghi queste    riapparizioni simultanee. Mi chiedo quale. Su questi interrogativi, credo, vale la pena di riflettere.

Su Vittorio Emanuele Savoia (o di Savoia come meglio aggrada) la riflessione puo' esser breve. Lui non e' neppure un fantasma perche' i fantasmi in genere fanno paura ma lui francamente no. E' un simbolo? E di che cosa? Suo padre, il Re di maggio, fu spodestato da una legale consultazione popolare, ma quando se ne ando' accuso' la Repubblica appena nata d'essere il frutto di un broglio. Dobbiamo dunque considerarlo un pretendente? Lui si considera tale? Posta in questo modo e' una domanda che fa ridere ma su questioni di tale natura non si deve troppo scherzare. Il presidente della Camera ha detto l'altro giorno che sarebbe sufficiente una sua presa d'atto sull'esistenza della Repubblica ma gli italiani non hanno alcun bisogno d'una constatazione tanto ovvia, la Repubblica esiste indipendentemente dalle prese d'atto dei membri della famiglia Savoia, ci mancherebbe anche questo.

SEMMAI si puo' chiedere che questo signore dichiari nelle forme dovute di non considerarsi pretendente ad alcunche'. Oppure non gli si chieda niente del tutto e si cancelli la disposizione costituzionale che lo riguarda. A quel punto rientri pure in Italia col suo passaporto svizzero e facciamola finita con questa telenovela che non interessa ne' commuove nessuno. Abbiamo tutti altri pensieri per la testa e altre occupazioni che non quella dei movimenti confinari di Vittorio Emanuele e dei suoi parenti".

Il caso Andreotti e' un po' piu' complicato. Un tempo la definizione di "sempreverde" e il titolo di "rieccolo" fu appannaggio di Amintore Fanfani, ma il sette volte presidente del Consiglio lo batte di varie lunghezze; nel "cursus honorum" e' preceduto soltanto da Cossiga che ha percorso tutta la scala da sottosegretario a ministro, presidente del Consiglio, presidente del Senato e presidente della Repubblica. Quest'ultimo scalino Andreotti non l'ha mai raggiunto anche se ci ha pensato, eccome se ci ha pensato. Adesso francamente e' un po' tardi ma i grandi vecchi, si sa, sono pieni di risorse; se poi sono anche cattolici non mettono mai limiti alla provvidenza, sarebbe irriguardoso. Sappiamo da lui stesso che vuole rifare la Dc. "Vaste programme" avrebbe detto De Gaulle. Ma io non credo che sia questo l'obiettivo anche perche' la Dc per lui non e' mai stata la materializzazione di un ideale. La Dc per lui e' stata un luogo, uno spazio, il contenitore dell'ideale vero, che e' quello del potere.

Andreotti e' l'uomo di potere per eccellenza e qui sta la sua profonda somiglianza con Talleyrand: vescovo sotto l'Ancien re'gime, prete repubblicano agli albori della rivoluzione, ministro di Napoleone durante l'impero, ancora ministro con la Restaurazione, ambasciatore con la monarchia orleanista; ma soprattutto e sempre Talleyrand. Cosi' Andreotti. Non ebbe bisogno di cambiar partito perche' per quarant'anni filati chi ambiva il potere non poteva trovar luogo piu' idoneo di quello; in compenso cambio' continuamente alleanze. Fu cattolico-liberale con De Gasperi, leader della destra durante il periodo Fanfani, grande elettore di Gronchi contro i fanfaniani, di nuovo ala destra ai tempi dei dorotei e di Moro, improvvisamente capo di governo nella fase di avvicinamento al Pci, grande elettore di De Mita alla segreteria del partito, Belzebu' per Craxi che lo vedeva come una minaccia, improvvisamente alleato di Craxi e dei dorotei per far fuori De Mita, nemico giurato di Cossiga ai tempi del suo settennato al Quirinale. Inquadrare Andreotti in una posizione univoca e' sempre stata un'impresa disperata perche' stava sempre in un cantone diverso da quello dove ci si aspettava di trovarlo.

Fu l'autore del piu' pesante attacco che mai si sia visto da parte d'un presidente del Consiglio contro un governatore della Banca d'Italia: furono i suoi uomini nella magistratura a mettere sotto accusa Paolo Baffi e a incarcerare Sarcinelli. La storia di Sindona e' fin troppo nota per doverla rievocare e cosi' tante altre analoghe, ma una parte notevole dei suoi movimenti e' avvenuta sotto traccia e nessuno riuscira' a portarli in luce.

Andreotti ha sempre privilegiato le sue capacita' manovriere con l'occhio fisso al potere, alla possibilita' di rafforzarlo, all'imperativo di conservarlo. I diversi tronconi della ex Dc allogati o nel centrosinistra o nel centrodestra non fanno evidentemente al caso suo perche' in uno qualsiasi di essi lo spazio di manovra e' minimo e la presa sul potere per conseguenza e' modesta.

Ecco perche' e' ripartito in battaglia col progetto di dar vita a un partito che si collochi esattamente al centro tra le due coalizioni contrapposte e recuperi lo spazio di manovra per il gioco d'interdizione che e' quello che lo diverte di piu' e nel quale non ha rivali. E questo fara', ammesso che, con D'Antoni e Zecchino, intercetti quel tanto di voti che gli diano nelle mani lo strumento necessario.

L'ideale per lui sarebbe che Berlusconi incorresse in qualche incidente di percorso e fosse lui a diventare il punto di riferimento di una Forza Italia acefala, lo stesso disegno che affascina Cossiga e parecchi altri, cattolici e non. A differenza di D'Antoni e di Zecchino lui vorrebbe togliere piu' voti al centrodestra che al centrosinistra, indebolire il piu' forte per guadagnare piu' spazio. Non si sa se ci riuscira' ma si puo' scommettere che ce la mettera' tutta. E' cattolico? Sicuramente si'. E' cristiano? Probabilmente no. E' l'enigma politico col quale abbiamo convissuto e col quale continuiamo a convivere. L'eterno ritorno e' lui.

* * *

Il caso Craxi non e' complicato da capire, piuttosto e' complicato da spiegare a chi si tappa sia le orecchie che gli occhi.L'ultima moda sul mercato delle rimembranze sembra esser quella di distinguere tra il Craxi uomo di Stato e modernizzatore del sistema Italia e il Craxi incappato nei rigori della magistratura italiana (con sentenze, giova ricordarlo, che partirono dall'azione penale della Procura e arrivarono fino alle sentenze del Tribunale, della Corte d'appello e della Cassazione).

In che cosa sia consistita la modernizzazione craxiana nessuno ancora l'ha spiegato e a questo punto forse qualcuno dovrebbe pur farlo. Ebbe intuizioni iformistiche? Certamente le ebbe, come prima di lui le avevano avute Pietro Nenni, Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti e molti altri. Il socialismo italiano e' sempre stato riformista fin dalla sua fondazione. Lo furono Turati, Treves, Mondolfo, Matteotti e giu' per li rami. Si separarono dagli anarchici prima, dai comunisti poi, infine dai massimalisti. E fu riformista la Confederazione del lavoro, riformista Buozzi, riformista il socialista sindacalista Vittorio Foa (ma anche i sindacalisti comunisti Di Vittorio, Lama, Trentin, Cofferati lo sono stati). Insomma l'intuizione riformista e' stata parte fondante della militanza socialista; che anche Craxi fosse segnato da questo "imprinting" e' una tautologia.Ma qui si parla di riformismo modernizzatore, dove l'aggettivo lascia intendere un tipo di riformismo nuovo di zecca, in rottura con quello tradizionale. E si parla non gia' di intuizioni ma di realizzazioni concrete, politiche e di governo.

Un esempio sicuramente calzante: l'abolizione della scala mobile, lo scontro e la vittoria referendaria contro la Cgil e il Pci di Berlinguer. Si possono avere in proposito opinioni diverse. La mia, tanto per dire, e' che quell'obiettivo sia stato assai meno importante di quanto si sia creduto per lo sviluppo dell'economia, ma convengo che molti e autorevoli osservatori hanno su questo punto opinioni contrarie alle mie e non mi sento certo portatore di verita' assolute. Ma vorrei qualche altro esempio oltre questo:in che cosa e' consistita la modernizzazione craxiana? Limito' il ricorso troppo frequente al voto per appello nominale in Parlamento; favori' una revisione un po' meno assembleare dei lavori delle Camere. Forse dimentico altre cose, e' possibile, percio' mi piacerebbe che qualcuno me le ricordasse. Bene. Poi c'e' stata l'Italia da bere, nani e ballerine, tangenti ai partiti, tangenti "ad personam". Un esercizio del potere alquanto arbitrario.E il sostegno vergognosamente palese al partito televisivo di Silvio Berlusconi contro le leggi dello Stato e le sentenze della Corte costituzionale.

Basta essere o sembrare modernizzatori per cancellare questi trascorsi? Per mettere in cantina la lottizzazione del sottogoverno diventata sistema? La prassi "tu mi dai una cosa a me, io ti do una cosa a te"? L'impunita' assicurata per anni attraverso le compiacenze della Procura e dell'Ufficio istruttorio del Tribunale di Roma? E basta ripararsi dietro il fatto che "tutti facevano cosi'"? E quand'anche? Un reato rimane reato, che sia  commesso da dieci o da cento o da mille persone. Specie se uno dei colpevoli lo fa da presidente del Consiglio, cioe' da massimo gestore delle istituzioni. Questi sono i fatti. Su di essi puo' scendere anche il perdono. L'oblio direi di no affinche', se possibile, non si ripetano anche se l'obiettivo e' meno semplice da raggiungere di quanto sembri specie se si cambiano le carte in tavola con la scusa della pacificazione.

Conclusione: nel '94 gran parte degli elettori che votavano Dc e Psi andarono con Berlusconi e con Fini. Li', piu' o meno, sono rimasti. E' curioso che questo sia avvenuto nell'elettorato d'un partito di centro che "guardava a sinistra" e d'un altro partito decisamente di sinistra. Si potra' spiegare in tanti modi e li conosciamo ma il fatto tuttavia e' un fatto che risale a sette anni fa. Qui si' che c'e' da riflettere un bel po'.