Corriere della Sera  del 05-03-2001

Il Senato approvi l’accordo con la Svizzera

GIUSTIZIA, IL SI’ CHE MANCA

di VITTORIO GREVI

La collaborazione giudiziaria tra Italia e Svizzera è stata nell’ultimo decennio alla base di importanti successi nella lotta contro mafia, traffico di droga e corruzione, permettendo tra l’altro l’accesso della magistratura ai segreti delle banche che alimentano il circuito mondiale del riciclaggio. Da tempo si avverte, però, l’esigenza che tale collaborazione venga resa più rapida e snella, e allo scopo fin dal settembre 1998 è stato firmato dal ministro Flick un nuovo importante accordo di assistenza nel settore penale tra i due Paesi. Se non che questo accordo, sebbene strategico per il buon esito di molti procedimenti, attende da allora di essere ratificato. Solo nei giorni scorsi, dopo un itinerario caratterizzato da incredibili lentezze, la Camera ha finalmente approvato il relativo disegno di legge. Ai deputati è bastata un’ora per il voto, espresso a larghissima maggioranza, dopo che l’opposizione aveva cessato come d’incanto ogni atteggiamento ostile. Tuttavia, nell’imminenza della fine della legislatura, è forte il dubbio che questa improvvisa accelerazione possa essere stata dettata (almeno per qualcuno) solo dalla convinzione che non ci sarà il tempo per il varo definitivo: un bel gesto destinato a rimanere senza efficacia. Proprio per cancellare ogni sospetto, occorre dunque che il Senato, dove esiste una maggioranza ancora più stabile, a sua volta trovi subito un’ora per approvare la legge di ratifica. Ciò che, oltre a salvare l’Italia da una "brutta figura" nel quadro internazionale, gioverebbe anche all’immagine di alcuni uomini politici sottoposti a indagine, dimostrando l’assenza di ogni conflitto fra il loro ruolo istituzionale e le rispettive posizioni processuali. L’accordo, a suo tempo sollecitato soprattutto dal nostro governo, anche a costo di dover superare certe tradizionali resistenze svizzere, contiene diverse importanti innovazioni di sicura utilità per la giustizia di entrambi i Paesi. Basti pensare che in forza di tale accordo per la prima volta la Svizzera si impegna a prestare assistenza giudiziaria anche sul versante dei reati qualificabili come "truffa in materia fiscale", accettando così di collaborare in un settore finora tutelato con particolare gelosia dalle autorità di Berna.
Il campo nel quale l’accordo introduce le più cospicue novità è comunque quello delle rogatorie tra i due Stati, particolarmente utile per la nostra magistratura per poter ottenere il compimento di attività probatorie (ad esempio audizione di testimoni o di coimputati, sequestro di cose o documenti, accertamenti tecnici) in territorio elvetico. L’accordo è dichiaratamente ispirato all’esigenza di facilitare e di accelerare lo svolgimento delle rogatorie. Sono previste clausole che autorizzano la trasmissione diretta delle rogatorie tra gli uffici giudiziari competenti, senza passare attraverso le autorità centrali; ovvero che consentono l’esecuzione delle rogatorie mediante video conferenza.
Di fronte a queste e ad altre obiettive agevolazioni derivanti dall’accordo italo-svizzero, davvero non si capisce cosa ne abbia determinato un cammino parlamentare tanto lento e faticoso. A parte le ben note inchieste sul malaffare politico amministrativo, sono molti, infatti, i procedimenti (da quelli per riciclaggio di denaro sporco a quelli per i più gravi traffici illeciti) che potrebbero essere notevolmente avvantaggiati dai nuovi meccanismi di assistenza giudiziaria tra Italia e Svizzera, anche sotto il profilo del recupero e della confisca di beni provenienti da attività delittuose. Ecco perché è doveroso che il Senato autorizzi in via definitiva la ratifica e l’esecuzione di questo accordo.

Messaggero del 05-03-2001

LA RIFORMA

"Sì al giusto processo, ma coordiniamo vecchio e nuovo"

Il presidente della Camera Violante al convegno di Bari. Caselli: "In carcere sono rimasti i poveracci, giustizia celere solo per loro"

dal nostro inviato

RITA DI GIOVACCHINO

CASAMASSIMA (Bari) - Tocca a Luciano Violante difendere il "giusto processo" dalle critiche di costituzionalisti e magistrati. Ma è proprio il presidente della Camera che alla fine dice: "Ora però basta, occore dare uno stop alla proliferazione di nuove leggi, è venuto il momento di studiare quanto le recenti riforme siano entrate in contrasto con le vecchie norme. Non si fa che ristampare i codici di procedura penale, dando la stura a una varietà di interpretazioni, modifiche, ricorsi che di fatto allungano e rendono più costosi i tempi del processo". E Violante chiede che sia proprio la Fondazione Falcone, che ha promosso il convegno di Casamassima, a fare questo lavoro di omogeneizzazione e razionalizzazione delle leggi.
Dice il presidente della Camera: "Bisogna trovare un punto di equilibrio nel contraddittorio tra accusa e difesa, l'Italia è stata condannata molte volte in sede europea per la lunghezza dei suoi processi. Ma il sabotaggio non è auspicabile con il rito accusatorio. Gli avvocati non devono mai superare i limiti deontologici dell’etica processuale". Il presidente della Camera, da buon giurista, definisce in cinque punti gli obiettivi che il "giusto processo" deve realizzare se vuole essere tale. Primo, l’obiettivo è l’accertamento della responsabilità e non della verità. Secondo, nè le garanzie individuali nè i mezzi giuridici a disposizione dell'accusa, possono svuotare tale scopo del processo. Terzo il principio di legalità è garantito solo quando sono prevedibili le conseguenze giuridiche dei comportamenti illegali. Quarto, quando sono prevedibili anche i tempi di tali conseguenze. "Una condanna fra dieci anni è diversa da una condanna in tre mesi, visto che può cadere in prescrizione". Quinto l’obbligatorietà dell’azione penale, vera garanzia dell’autonomia del Pm.
Al convegno ha partecipato anche Giancarlo Caselli, dal primo marzo presidente dell’Eurojust a Bruxelles. E’ un vibrante j’accuse quello dell’ex procuratore di Palermo: "Bisogna dire che in "tempi ragionevoli" vengono processati e condannati soltanto i poveracci, che il 30 per cento dei detenuti sono extracomunitari e l’altro 30 per cento tossicodipendenti. Mai la giustizia è stata tanto classista e mai i processi sono stati tanto costosi per chi può permetterselo. C’è da chiedersi come sia stato possibile che questo sia avvenuto proprio mentre era al governo la sinistra e cioè uno schieramento più sensibile di altri ai diritti di soggetti sociali più deboli e meno garantiti".